Aggiungi il tuo testo...

.
Ai fini della richiesta di rimborso IVA di soggetti non residenti, la nomina retroattiva del rappresentante fiscale o l’identificazione diretta possono avvenire anche dopo il compimento dell’operazione, avendo natura meramente formale e non costitutiva del diritto alla detrazione. Il tardivo assolvimento di un obbligo di natura formale non può precludere il rimborso dell’IVA assolta a monte una volta appurata la presenza dei requisiti di accoglimento della richiesta, l’assenza di finità fraudolente e il rispetto di un termine ragionevole per l’apertura di una posizione IVA. La definizione di termine ragionevole non è stata esplicitata in giurisprudenza e prassi. Sul punto è auspicabile un chiarimento volto ad evitare - in futuro - potenziali compressioni del principio di neutralità dell’IVA.
L’attribuzione della partita IVA con effetto retroattivo non preclude la possibilità di richiedere il rimborso dell’imposta assolta sugli acquisti effettuati in Italia da parte di un soggetto non residente prima della nomina del rappresentante IVA ex art. 17, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 (o dell’identificazione diretta ex art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972).
Di contro appare ormai superato l’orientamento di alcuni Uffici che negano il rimborso IVA asserendo che è possibile esercitare la detrazione secondo le ordinarie disposizioni dell’art. 19 e seguenti, ovvero il diritto al rimborso ai sensi degli articoli 30 e 38-bis del D.P.R. n. 633/1972, esclusivamente per operazioni compiute successivamente alla nomina stessa (o all’identificazione diretta).
Tale principio ha trovato una sua prima conferma nella risoluzione n. 31/E del 1° marzo 2005, nella quale l’Agenzia delle Entrate aveva stabilito il principio che la circostanza di una tardiva identificazione ai fini IVA non può pregiudicare l’esercizio dei diritti sostanziali (incluso il diritto al rimborso IVA) connessi all’attività esercitata (fatta salvo l’applicazione di sanzioni per eventuali irregolarità sul piano formale, ad esempio, mancati/tardivi adempimenti, e sul piano attivo, ad esempio, omessa/tardiva fatturazione attiva, etc.)
Nella stessa direzione anche la Corte di Cassazione (sentenze 30 gennaio 2023, n. 2746 e n. 2756) che ha affermato che il rimborso può essere richiesto anche se l’apertura di una posizione IVA è stata effettuata solo dopo il compimento dell’operazione cui la richiesta si riferisce, purché l’amministrazione finanziaria sia messa nelle condizioni di verificare che:
- sussistano i requisiti per l’accoglimento della richiesta di rimborso
- la stessa non persegua finalità fraudolente od abusive
- l’identificazione sia effettuata entro un termine ragionevole.
Il suddetto principio segue quello, ancora più generale (Cass. n. 20738/2023), della sostanza che prevale sulla forma, tale per cui l’inosservanza di alcuni requisiti formali non può precludere l’esercizio dei diritti sostanziali del contribuente (salvo che l’inosservanza abbia prodotto l’effetto di impedire l’acquisizione della prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali).
Con riferimento al termine ragionevole né la giurisprudenza domestica né la prassi dell’amministrazione finanziaria hanno chiarito cosa debba intendersi esattamente. In tal senso la Corte di Giustizia UE, 21 ottobre 2010, C-385/09, parr. 52 e 53, ha ritenuto ragionevole che la società - necessitando di una registrazione ai fini dell’IVA per esercitare il suo diritto alla detrazione - si fosse registrata “prima che fossero passati sei mesi dalla realizzazione delle operazioni che da(vano) luogo a tale diritto" (par. 53). Termine ritenuto idoneo in virtù della normativa lituana ma che si ritiene, non estendibile, a livello nazionale benché a volte richiamato anche dall’amministrazione finanziaria italiana.
L’individuazione di un termine per la registrazione ai fini IVA dei soggetti passivi, connesso all’esercizio del diritto alla detrazione, è volta soddisfare l’esigenza fondamentale della certezza del diritto. Tuttavia, se tale termine venisse considerato in modo acritico e troppo stringente, si potrebbe incorrere in situazioni patologiche configuranti la compromissione del principio di neutralità dell’IVA. Pertanto, si ritiene che nella valutazione di una fattispecie si debba tener conto delle peculiarità del caso concreto e delle giustificazioni fornite dal soggetto passivo in merito al ritardo nell’apertura di una posizione IVA.
Un caso pratico
Rimborso IVA con procedura diversa da quella idonea e nomina retroattiva del rappresentante IVA
Al fine di rendere più comprensibili le implicazioni pratiche, si faccia il caso di un contribuente (di seguito Società) che:
- a fronte di operazioni di acquisto e di vendita (territorialmente rilevanti in Italia ai fini IVA) compiute nell’anno 2023, ha provveduto ad identificarsi ai fini IVA in Italia tramite la nomina, retroattiva, di un rappresentante fiscale solo in data 20 luglio 2024, ben oltre il ragionevole termine di sei mesi;
- ha chiesto e ottenuto (erroneamente) il credito IVA - per il primo semestre 2023 - mediante accesso alla procedura del portale elettronico ai sensi dell’art. 38-bis2 del D.P.R. n. 633/1972, pur avendo effettuato operazioni attive in Italia soggette ad IVA determinanti l’esclusione da tale procedura;
- ravvedutasi dell’errore ha (i) restituito all’Erario le somme erroneamente percepite, (ii) applicato il ravvedimento operoso per sanare le irregolarità sul lato attivo e sul piano formale e (iii) chiesto a rimborso il credito IVA maturato in relazione a detti acquisti nelle forme ordinarie ex articoli 30 e 38-bis del D.P.R. n. 633/1972 mediante dichiarazione modello IVA 2024.
Si riepilogano qui di seguito, in forma tabellare, i fatti salienti:
Operazioni passive (con controparte fornitori stabiliti in Italia)
|
Effettuate nel 2023
|
Diritto al rimborso IVA
|
Operazioni attive (nei confronti di soggetti non stabiliti in Italia)
|
Effettuate nel 2023
|
Omessa fatturazione e omessa applicazione/versamento IVA - da regolarizzare
|
Identificazione IVA
|
20 luglio 2024
|
Tardiva, ma:
a) prima della scadenza della dichiarazione annuale IVA per l’anno 2023, considerando i 90 giorni di proroga “ordinaria”
b) oltre 6 mesi dalla prima operazione effettuata nel territorio dello Stato
|
Rimborso IVA
|
Procedura non idonea, in quanto il contribuente ha effettuato nel 2023 operazioni attive che precludono il rimborso IVA secondo la procedura comunitaria
|
|
Regolarizzazione
|
1) Restituzione all’Erario delle somme percepite mediante la procedura di rimborso IVA comunitaria
2) Sanato le irregolarità sul piano formale e sul lato attivo
|
Regolarizzazione volta a sanare le irregolarità e a recuperare il credito IVA secondo la procedura di rimborso corretta
|
In tale ipotesi, se venisse mutuato, sul piano nazionale, il termine di sei mesi dall’effettuazione dell’operazione intendendolo in senso stringente, l’amministrazione finanziaria potrebbe ritenere pienamente fondato un provvedimento di diniego del rimborso, avendo la Società provveduto alla nomina del rappresentante fiscale oltre i sei mesi dall’effettuazione delle operazioni che davano diritto alla detrazione.
Tuttavia, l’apertura di una partita IVA serve a identificare il soggetto in modo certo e inequivoco, non a fondare il diritto alla detrazione (o al rimborso, che costituisce analogo meccanismo insopprimibile diretto a tutelare la neutralità dell’IVA). Il principio riposa, in definitiva, sulla regola della prevalenza dei requisiti sostanziali su quelli formali.
In tal senso, l’inosservanza di un requisito formale, quale la nomina del rappresentante fiscale prima del compimento dell’operazione rilevante a fini IVA, non impedisce all’Ufficio l’acquisizione della prova relativa al rispetto dei requisiti sostanziali del diritto al rimborso.
Di contro, come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, nella valutazione del termine ragionevole per effettuare la nomina del rappresentante IVA (o l’identificazione diretta) vanno considerate le peculiarità del caso concreto e le giustificazioni che il soggetto passivo ha ritenuto di dare.
Premesso quanto sopra, se - nel lasso temporale contestato - la Società ha (tra le altre cose) provveduto alla restituzione del rimborso IVA, illegittimamente percepito con la procedura relativa all’IVA comunitaria, potrebbe risultare giustificato il ritardo maturato nella procedura di identificazione IVA nel territorio dello Stato. Ciò proprio in forza delle peculiarità del caso concreto che tiene anche conto del comportamento tenuto dal contribuente.
Una tale conclusione andrebbe a tutelare il principio garantito a livello unionale di neutralità dell’IVA che tramite il meccanismo delle detrazioni mira ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche.
Di contro una conclusione diversa creerebbe un’ingiusta differenziazione fra l’ipotesi di apertura retroattiva di partita IVA volta a regolarizzare un omesso versamento, per il quale non ci sono limiti temporali, e quella invece volta al recupero dell’IVA detraibile.
Cosa si deve intendere per “termine ragionevole”?
Premesso quanto sopra sarebbe auspicabile un intervento di prassi che vada a esplicitare cosa debba intendersi per termine ragionevole. Ciò al fine di evitare incertezze e il proliferare di potenziali contenziosi con l’amministrazione finanziaria in merito a istanze di rimborso per crediti IVA maturati prima della nomina del rappresentante IVA o identificazione diretta.
In conclusione, ad avviso di chi scrive, si ritiene che il termine ragionevole possa coincidere con il termine ultimo per l’esercizio del diritto alla detrazione (considerando anche la possibilità di presentare una dichiarazione annuale IVA integrativa) e/o il termine previsto per l’attività di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria.